Il Risveglio dell'Occidente. Documento Politico - Prima Le Idee 2018

05.10.2018

Dal tramonto alla sera

All'inizio di questo nostro secolo, l'Occidente euro-americano si è ritrovato in una condizione di paradossale ambiguità. Da una parte, sopravvissuto all'ultimo conflitto mondiale, esso ha rinforzato la propria pretesa di esemplarità, manifestata nella religione civile del libero mercato e della democrazia decifrata in teorie universalistiche di esportazione di diritti, istituzioni e pratiche di efficienza. Dall'altra parte invece, colpito dalla pressione simultanea delle proprie crisi interne e della crescita di grandi potenze non-occidentali come Cina e India, nell'Occidente si sta insinuando un sentimento di vulnerabilità, manifestato in questo caso tramite la retorica dell'assedio e orientato verso risposte difensive, controffensive o (in senso cautelativo) offensive.

Questa iniziale situazione di paradossale ambiguità ha segnato quello che forse, in vari modi, è stato diversamente definito come "tramonto dell'Occidente". Questo "declino" dell'Occidente è, prima di tutto, uno sviluppo storico oggettivo se guardiamo alle relazioni politiche ed economiche internazionali, ed è, se vogliamo, l'avvenimento più rilevante della storia dell'ultimo secolo. Innanzitutto, in un ambito anarcoide e combattivo come quello politico internazionale, il declino non è da intendersi in senso assoluto ma, chiaramente, relativo. Il problema, in soldoni, non è che Americani ed Europei prosperano meno che in passato, ma è che altri prosperano molto di più e più in fretta. In seguito, prendendo con le pinze la parola "tramonto", è chiaro che esso resta tale solo se messo in relazione a una vicenda storica di lunghissimo periodo, che va dalla conquista dell'America e dei litorali africani e asiatici agli inizi del XVI secolo, gradualmente ampliata a quasi tutta l'Asia e l'Oceania tra la metà del XVIII e la fine del XIX secolo, e terminata all'inizio del XX secolo nell'ultimo impossessamento dell'Africa e nell'imposizione di una condizione semi-coloniale a Cina e Impero ottomano.

Fuori da questa parentesi storica l'Occidente non ha mai ricoperto una posizione dominante nei rapporti politici ed economici internazionali (e non solo perché di relazioni internazionali non si può parlare prima del XXI secolo), ma soprattutto perché, prima del XVI secolo, altre civiltà lo avevano sempre superato o eguagliato economicamente e militarmente parlando. Infine, un'ambivalenza molto più radicale investe anche l'altra estremità della raffigurazione, l'Occidente stesso. Nonostante il rimando comune all'eredità greco-romana e alla cristianità, Europa e America hanno battuto, nel secolo scorso, due sentieri quasi contrapposti, che hanno condotto i due continenti verso destini diversi. Per l'Europa, tutto il Novecento è stato un periodo di progressivo declino; per l'America, un momento di ascesa. In questo passaggio si ritrova anche la continuità e, parimenti, la differenza tra il significato attuale e quello novecentesco del tramonto. Se per Oswald Spengler, il tramonto dell'Occidente coincideva ancora con il tramonto dell'Europa, oggi esso è diventato anche quello americano.

L'Occidente, per definizione Terra del tramonto, è sempre stato presso la sua fine. La cultura occidentale è sempre stata irrigata da inquietudini vespertine (la nottola di Minerva non dispiega forse le sue ali all'imbrunire?). L'Occidente ha manifestato molte volte le sue agitazioni e le sue irrisolte preoccupazioni nelle immagini del "declino" e della "decadenza".

Nessuna fiducia in un destino diverso, quindi? Non è questa la conclusione a cui vorremmo giungere a partire dalla consapevolezza del tramonto. Tuttalpiù, potrebbe essere l'occasione per i vinti eccellenti della cultura occidentale, ovvero il proletario o l'intellettuale critico, (che seppur sconfitti non hanno mai smesso di pensare), per cominciare a ri-pensare il senso di "occidente". L'Occidente oggi rinuncia a ogni processo di auto-riflessione perché teme di perdersi nelle copie riflesse infinite di se stesso. Questo non perché non si sia mai guardato in faccia. Solamente non lo fa più, autocompiacendosi del suo "essere-stato". Nemmeno la propria crisi, il suo esistere in una specie di "fine dei tempi", riesce a scuoterlo dal suo piatto e buio appagamento.

Certamente, l'appiattimento della tensione antagonista tra diversi punti di vista, tipico del postmodernismo, è un fenomeno ormai acclarato. La modernità occidentale è stata tale fino a quando o ha potuto negare le sue contraddizioni o ha avuto fede nella possibilità di risolverle. Il postmodernismo, invece, fa della contraddizione una molteplicità indifferenziata che si alimenta in uno spazio globale in cui tutto è permesso. Così, punti di vista contraddittori convivono cinicamente. Sfruttiamo le risorse del pianeta ma difendiamo la causa ecologista, e allora? Forse il modo più efficace di oscurare le opposizioni è di esibirle apertamente? Resta solo da vedere se l'epoca postmoderna passerà alla storia come tramonto o come risveglio dell'Occidente.

Dalla notte all'alba

Il risveglio dell'Occidente è nella fine della modernità come postmodernità e nell'inizio di un'epoca nuova. Al culmine dello sfacelo post-kantiano dell'assoluto, il postmodernismo ha esaurito la sua funzione. Un altro assoluto, da costruire, ci attende. È qui che l'alba dell'Occidente rivela la propria natura, che non può essere ancora quella del racconto storico oggettivo, bensì quella della narrazione politicamente e culturalmente orientata. L'occidentalismo deve fare i conti con un nuovo universalismo globale, per questo l'operazione del "risveglio" deve coincidere con la definizione di una nuova identità occidentale. Un'identità che sappia abitare i confini, i limiti e vivere le diversità con tutto ciò che occidente non è. Non possiamo sacrificare l'idea di Occidente sull'altare del futuro progressivo, solo perché incapaci di andare oltre il pluralismo delle culture o il dominio delle potenze "orientali".

L'Europa prima, l'America poi, hanno cercato in qualche modo di occidentalizzare il mondo globalizzandolo. È al culmine di questo processo che il tramonto è giunto, ed è proprio dal superamento di questo fenomeno che l'alba verrà. Il senso profondo di questo accadimento, di questa nuova epoca o nuovo inizio, sarà scandito dalla capacità che avranno gli occidentali di rifondare gli elementi vitali e genetici dell'Occidente stesso, e che coinvolgono la politica, l'economia, la cultura, la società, l'estetica, la morale e la religione di un'area dai confini ormai sempre più mobili.

Nel passaggio dal tramonto all'alba, l'Occidente non designa solo geograficamente, ma ontologicamente il luogo della nostra civiltà. Rinunciarvi è un suicidio. Il senso del nostro essere è stato avvertito ai primordi del pensiero greco. Pensare agli inizi del pensiero greco è qui pensare al "detto di Anassimandro", come la parola più antica giunta fino a noi: «Ma là donde le cose hanno il loro sorgere, si volge anche il loro venir meno, secondo la necessità; esse pagano reciprocamente la pena e il fio per la loro malvagità». Il detto di Anassimandro fa parte certamente dell'alba del primo mattino della terra della sera, dell'Occidente.

Ma volendo fare nostro il quesito di Heidegger, «è possibile che a distanza di due millenni e mezzo in linea storico-cronologica, le parole di Anassimandro abbiano ancora qualcosa da dirci?». Come possiamo solo concepire la possibilità, che noi contemporanei, a distanza di millenni, concediamo al detto di Anassimandro di dire ciò che esso voleva dire? Se realmente il detto è il più antico mai tramandatoci, lo possiamo considerare come la prima manifestazione del pensiero occidentale solo concependo l'essenzialità dell'Occidente a cominciare dal frammento stesso. Come possiamo tradurre tale detto e quindi tradurci senza cadere nell'arbitrio? Nella traduzione letterale di Heidegger, il detto è: «Ma da ciò da cui per le cose è la generazione, sorge anche la dissoluzione verso di esso, secondo il necessario; esse si rendono infatti reciprocamente giustizia e ammenda per l'ingiustizia, secondo l'ordine del tempo».

In quest'ottica, l'occidente è la terra dell'essere e del tramonto, in quanto l'essere si dà soltanto nel suo tramontare. E soprattutto perché vivere pienamente il tramonto significa prepararsi a vivere di un nuovo inizio, perché è nella luce del tramonto, toccati dall'azzurro crepuscolare del sacro, che si cela già da sempre l'alba di un nuovo giorno.

Andrea Volpi - Blog politico
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