E' tempo di grandi cose, ce lo chiede l'Italia!
PREMESSA
I fotogrammi che ritraggono l'Italia negli ultimi anni la rappresentano come una Nazione senza anima, inerme di fronte alle imposizioni dell'Unione Europea, riluttante a rimettere le proprie sorti nelle mani della Politica.
Non è
retorico guardarsi indietro e rimpiangere i periodi storici che hanno visto il
nostro Paese protagonista nei vertici internazionali più importanti, non è
nostalgico ricordare le tante buone pratiche del passato che ci hanno
consegnato negli anni la leadership in molti settori della tecnologia,
dell'industria, dell'artigianato, del design, anzi è quanto mai doveroso
ricorrere nuovamente all'ingegno per raggiungere grandi obiettivi!
La "Politica", di fatto l'unico strumento esistente per sovvertire lo status quo, tornerà ad essere credibile se avrà come priorità il soddisfacimento dei bisogni dell'individuo e delle famiglie anteponendo l'accrescimento degli interessi nazionali a quelli delle caste, delle banche, delle lobby europee.
Rilancio economico, Occupazione e Giustizia dovranno essere i capisaldi della nostra azione programmatica finalizzata alla futura attività di Governo.
Da Trieste in poi ci attende una sfida fondamentale: dobbiamo tutti, insieme e senza cadere nell'individualismo, dare il massimo per accrescere i consensi di Fratelli d'Italia, dobbiamo tornare a confrontarci all'interno della coalizione per impostare un programma elettorale che sia il più possibile coerente con la nostra visione politica (elencando tutto ciò che non è negoziabile) ed infine abbiamo l'obbligo di imporci al fine di rimodulare il rapporto tra Europa e Stati che tornino ad essere Sovrani per considerarci con orgoglio cittadini europei.
Le elezioni amministrative di giugno e il trionfo di Nello Musumeci in Sicilia ci confermano che l'unità del centro - destra è propedeutica alla vittoria, ma ancor di più ci insegna che una coalizione coesa è lo schema che ci consente di prevalere sugli altri poli.
Se tale schema, come appare probabile oltre che auspicabile, sarà confermato per affrontare la tornata elettorale nazionale dovremo sforzarci di caratterizzare ancora di più i tratti "distintivi" del nostro essere, senza inseguire nessuno e senza peccare di autoreferenzialità.
Troppo spesso si commette l'errore di impostare la comunicazione solamente nei confronti di chi già è orientato a votarci, dimenticando che, se si ha l'ambizione di diventare maggioranza, bisogna avere anche il coraggio e gli argomenti per dialogare e confrontarsi anche con il resto dell'elettorato che è sempre meno ideologico.
Fratelli d'Italia sta crescendo dimostrandosi un interlocutore politico serio e credibile in grado di aggregare i militanti e i simpatizzanti della destra, ma dovremo lavorare di più per riuscire a convincere chi, per questioni storiche o anagrafiche, ha conosciuto esclusivamente il centro - destra modello "Casa della Libertà" o più recentemente l'esperienza fallimentare del "Popolo della Libertà".
PER GIORGIA MELONI LEADER DEL CENTRO DESTRA
Giorgia Meloni Premier, perché no? Determinazione, coraggio, competenza, onestà intellettuale sono qualità che la nostra Giorgia incarna alla perfezione oltre ad essere, nel pantheon del centro-destra, una delle espressioni più spendibili e allo stesso tempo gradite dagli elettori.
Fratelli d'Italia dovrà mostrarsi un partito all'altezza di questo grande obiettivo, capace di raccogliere nuovi consensi e fondamentale ad assicurare equilibrio e contenuti ad una coalizione eterogenea. Non c'è nulla da inventare se non riprendere la via maestra della buona politica ristabilendo dalla base al vertice quelle poche regole che assicurino la selezione della classe dirigente attraverso il merito ed escludano in modo netto affaristi e impresentabili.
Dobbiamo coltivare l'ambizione di arrivare a essere in tempi brevi un grande partito aperto e inclusivo, la strada imboccata ed il momento politico sembrano quelli giusti ma si cresce soltanto se si riescono a gestire le vittorie, ed anche le sconfitte. Gli italiani devono tornare a considerarci come il partito degli onesti, devono percepirci come la soluzione ai problemi, per riuscire a vincere dobbiamo prima coinvolgere e poi convincere.
E' tempo di grandi cose, è tempo di cambiare, è tempo di riconquistare il popolo passando dal territorio e rispedire davanti ai loro pc gli imbonitori a cinque stelle che dopo aver avvelenato i pozzi non hanno avuto la capacità di creare altre fonti di approvigionamento.
E' tempo di conquistare il futuro, è tempo di abbandonare le personali rendite di posizione e di mettersi in competizione all'interno e all'esterno per far emergere tutte le potenzialità inespresse presenti dentro e fuori il partito.
E' tempo di alzare la testa verso l'orizzonte e rivolgere la parola anche chi non ci ha mai elogiato, è l'ora di consegnare al passato i racconti eroici e le glorie dei reduci e sostituirle con incontri di formazione, approfondimenti culturali, eventi di socializzazione. Chi c'è stato dovrà essere importante tanto quanto chi ci sarà e tutti insieme contribuire alla costruzione di un partito grande capace di sostenere senza timori la scelta di Giorgia Meloni Premier.
Negli ultimi anni una parte della stampa e la crescita del M5S hanno fatto radicare il concetto che tutti, chiunque, possa interpretare al meglio un ruolo politico, al contrario è ora di ribadire che la formazione e la gavetta sono ancora il metodo migliore per acquisire esperienza e competenza per svolgere al meglio un mandato amministrativo. La politica però non è solo voti ed elezioni, è anche la ricerca e l'applicazione di un modello socio culturale che va tradotto in azioni ed in buone pratiche. Per tale scopo è fondamentale ripristinare, attraverso elementi più attuali, il confronto, la sintesi, l'elaborazione che avveniva nelle sezioni e nelle comunità politiche.
Il partito deve porsi l'obiettivo di potenziare sia il settore dei rappresentanti negli Enti Locali che l'attività di laboratorio culturale e creare nuovi strumenti che possano consentirci di interloquire in modo serio e credibile con imprenditori, professionisti, operai, rappresentanti del pubblico impiego, pensionati e studenti. I dipartimenti dovranno essere guidati dai dirigenti di partito, ma costituiti almeno dal 50% di rappresentanti del settore di competenza.
LAVORO E OCCUPAZIONE, LE NOSTRE PROPOSTE
Il sistema produttivo italiano deve indiscutibilmente ripartire dalla formazione scolastica e da quella professionale.
Non si può negare che l'apporto fornito dalla scuola superiore sia essenziale in quanto il rilancio dell'economia nazionale passa inevitabilmente attraverso la formazione di chi domani andrà ad occupare ruoli strategici all'interno della società. Ma non solo.
Troppo spesso e troppo facilmente si è coltivato il mito e l'illusione della formazione universitaria in qualsiasi modo e ad ogni costo, ed intere generazioni sono state erroneamente tratte in inganno con l'idea che il titolo - ad oggi con valore legale - fosse di per se l'unica via d'uscita per assicurarsi un futuro migliore: quindi una buona laurea equivale, secondo questo ragionamento, ad un lavoro garantito, un giusto stipendio ed una crescita economica e di carriera pressoché garantita.
In realtà le cose sono andate diversamente, molto diversamente.
Intere eserciti di laureati in Economia, Giurisprudenza, Scienze Politiche e Medicina, per non parlare di Architettura, Scienze della Formazione, Lettere, Filosofia e la popolare Scienze della Comunicazione, si sono ritrovati insieme dopo anni di studi, dopo anni passati a sognare quale possibile lavoro svolgere e chissà dove; di nuovo tutti insieme, tutti con gli stessi problemi, e per qualcuno (solo lambito dalla fortuna) che è riuscito a strappare un breve periodo di lavoro in qualche realtà aziendale o professionale di livello; la colpa - evidentemente - non è della categoria degli studenti, ma di tutto il sistema scolastico che, oggetto di diverse riforme dal 1996/1997 in poi, non è stato più in grado di adeguarsi ad un mutato panorama economico e del mercato del lavoro.
Il primo problema su tutti, ed il primo totem da abbattere, è quindi il mito del titolo a tutti i costi, soprattutto quello universitario.
Ogni impresa richiede certamente personale qualificato ma, prima di ogni altra cosa, personale che sia in grado di fare e di operare direttamente; molto spesso, studi prolungati divengono solo un ostacolo all'ingresso nel mondo del lavoro, ritardato con l'idea fasulla che "con la laurea" si può ottenere di più, e dimenticando che - spesso e volentieri - gli artefici dei più importanti successi imprenditoriali sono "solo" diplomati. Ma con una straordinaria visione del futuro ed una interminabile dedizione al lavoro.
Certo è un percorso che non può essere lasciato alla semplice scelta del ragazzo neo-diplomato ma richiede un accompagnamento, ovvero di politiche per il lavoro mirate che aiutino i giovani a valorizzare i propri talenti e le proprie inclinazioni; l'idea di fondo è immaginare un sistema ove, tramite le strutture statali, il giovane in fase di apprendimento possa comprendere fin dall'adolescenza, se il proprio percorso è destinato ad una alta formazione di rango universitario, o se può esprimersi al meglio nel mondo del lavoro subito dopo il diploma e la formazione scolastica superiore. Questo significa poter approntare strutture a livello locale in grado di assistere chi ne ha necessità con colloqui informativi, nonché nella preparazione del proprio curriculum, nell'orientamento lavorativo fin dalla scuola superiore fino anche alla simulazione di colloqui orientati a rendere il primo impatto con il lavoro meno duro di quanto comunque sarà.
Non bisogna peraltro dimenticare che, a qualsiasi livello, i lavoratori del futuro debbano essere formati e preparati ad affrontare ogni scelta. Ecco il perché di alcune forme contrattuali (come l'apprendistato) che aiutano all'avviamento al lavoro e che devono avere la precedenza, in alcuni casi, perfino sulla formazione scolastica e sulle proprie ambizioni perchè in grado di garantire quel pragmatismo che permette al giovane di poter autonomamente costruire il proprio futuro lavorativo. L'incentivazione verso forme di accompagnamento al lavoro deve dunque sussistere fin dalla formazione scolastica e poi penetrare nelle università sotto forma di reclutamento da parte delle aziende, le quali debbono poter godere di varie forme di agevolazioni nelle assunzioni di giovani in fase di apprendimento.
L'attuale sistema è in pieno cortocircuito: una schiera infinita di laureati non trova spazio in un mercato sempre più schizofrenico che invece di cercare medici, avvocati ed economisti, chiede in maniera sempre maggiore tecnici e specialisti di settore, spesso per attività e servizi che non richiedono neppure una laurea ed in alcuni casi che fino a pochi anni prima nemmeno esistevano: ecco dunque che quell'allargamento in linea orizzontale della formazione universitaria ha finito con il comprimere il merito sacrificando sull'altare dei diritti le posizioni di tutti gli altri.
Chiaramente alla formazione deve corrispondere un riassetto del sistema economico nazionale che si può ricondurre a due aspetti essenziali: la realizzazione di un piano industriale nazionale e l'aggiornamento della conseguente politica economica estera da un lato, e la riscoperta nonchè la valorizzazione della piccola imprenditoria e dell'artigianato dall'altro.
A ben vedere infatti ciò che sta mancando in Italia negli ultimi anni è un piano industriale, ovvero un progetto politico/economico finalizzato alla crescita del paese, al mantenimento del livello di benessere acquisito e in grado di prevenire la sperequazione ovvero la disparità tra vecchie e nuove generazioni; se fino a metà degli anni Novanta non vi era dubbio nel ritenere l'Italia tra i principali paesi dell'allora G7, oggi si fatica a rientrare nel nuovo G8 in quanto buona parte delle grandi industrie nazionali è stata oggetto di svendita o comunque vive una profonda crisi economica.
Una crisi che è prima di tutto di identità, se l'imprenditore italiano sembra quasi aver perso quella visione strategica del futuro che lo ha sempre contraddistinto nel mondo, e la colpa va cercata negli ambiti più diversi: il più grave è senza ombra di dubbio alcuno l'assenza della politica che ha smesso di svolgere il suo ruolo chiave nel delineare la strada da seguire nel medio-lungo periodo (10/15 anni).
Pensare ad un piano industriale comporta anche una determinata visione in politica economica internazionale, dunque di come l'Italia debba collocarsi anche in termini geo-politici nel bacino del Mediterraneo e non si può negare che questa capacità ad oggi manchi del tutto; un paese a trazione Mediterranea non può non vedere nello stesso la propria naturale area di espansione e influenza economica, e non può pensare di poter fare impresa senza tessere una serie di rapporti con tutti quei paesi (nord Africa in particolare) che vi si affacciano.
Così facendo infatti si avrebbe proprio quell'ossigeno che le aziende italiane chiedono, ovvero una rinnovata cooperazione internazionale con le proprie omologhe imprese estere e l'intrecciarsi di rapporti commerciali che da soli forniscono un flusso pressoché infinito di opportunità di lavoro; invece di lasciare che la forza lavoro qualificata fugga all'estero (la c.d. fuga di cervelli) si potrebbe canalizzare la stessa verso aziende "made in Italy" e garantire al contempo un forte supporto al Pil, in debacle totale.
Il patrimonio più grande di tutto il sistema industriale italiano è caratterizzato dalle migliaia di piccole e piccolissime imprese artigiane che operano con pochi dipendenti, spesso a conduzione familiare, ma che garantiscono quella qualità dei prodotti e del marchio tricolore inconfondibile in tutto il mondo; è una caratteristica invidiabile, che passa dalle piccole aziende agricole a quelle di manifattura e non solo, in grado di fornire dei prodotti di altissimo livello, e di superare ogni crisi economica in quanto - per lo più - si tratta di aziende che nemmeno conoscono gli effetti dei flussi finanziari.
E' l'arma più potete in Italia, l'unica vera ancora di salvezza in un mondo che viaggia velocemente, che vive su internet, che specula in borsa e che consuma senza assimilare.
A chi produce con metodi ultraestensivi i prodotti agricoli, l'Italia contrappone l'agricoltore locale, a fronte delle catene multinazionali si contrappone il piccolo artigiano locale, e così via in un'infinità di settori e di modelli; ma anche tutto questo mondo rischia di sparire, strozzato da un cuneo fiscale sempre più pesante e dai prezzi stracciati di chi produce in assenza di regole.
Anche qui, una politica lungimirante saprebbe come intervenire con forme non solo di incentivo ed aiuto alle piccole imprese ma perfino a protezione delle stesse, con regole di mercato atte a semplificare l'inizio di una nuova attività imprenditoriale, anche da parte dei giovani: riduzione della burocrazia, ma soprattutto difesa di quelle specificità professionali e imprenditoriali che rappresentano poi, alla resa dei conti, il substrato culturale italiano.
I VALORI IRRINUNCIABILI
"Vuoi cambiare il mondo? Inizia con il cambiare il tuo quartiere" diceva Madre Teresa di Calcutta, e quando si inizia a fare politica per passione e non per interesse è questo che di fatto muove, la volontà di cambiare il mondo e di iniziare cambiando, o lavorando per cambiare, quello che ti sta intorno.
Chi si avvicina alla Politica per amore della Polis, perché sente la voglia e l'esigenza di dare il proprio contributo per cambiare e, a suo modo di vedere, migliorare il mondo in cui vive, lo fa scegliendo di approfondire, condividere e aderire, prima ancora che a partiti o gruppi di riferimento, a dei valori che ritiene imprescindibili e irrinunciabili e che dovrebbero illuminare come lanterne la strada che ci si prefigge di percorrere.
I valori, termine usato e abusato spesso anche impropriamente per dare un senso di dignità e moralità a tutto ciò che si compie, sono, o quanto meno, dovrebbero essere, il punto di partenza di una qualsiasi scelta sociale e politica e non dovrebbero modificarsi in base ai tempi, ai risultati elettorali e ai dirigenti di turno, dovrebbero essere l'unico vero collante di ogni comunità politica, l'unico segno di riconoscimento e di appartenenza di uomini e donne diversi in tutto ma non nei valori da perseguire.
Scendendo più nel dettaglio, potremmo dire che la Politica, per risultare ancora credibile, efficace ed efficiente, deve ricominciare a intendere valori e ideali quali fari della propria attività senza negoziarli inseguendo facili guadagni, siano essi elettorali o economici, o modificandoli in base ai tempi che cambiano, ai sondaggi o alla convenienza meramente numerica.
Ciò che è avvenuto intorno al dibattito sulle unioni civili e alle adozioni omosessuali è emblematico di come ormai i partiti, e di conseguenza i politici, non riescano ad essere coerenti, non solo con se stessi, ma neppure con i valori che, in campagna elettorale, si vantano di perseguire e di conseguenza neppure con i propri elettori.
La Politica deve ritrovare valori e ideali che restino tali nel tempo, che possano essere punti di riferimento per gli elettori e non solo, deve ritrovare il coraggio di mantenere la parola data e di essere impopolare, dove necessario, per tenere fede alle proprie scelte e alla propria natura.
La destra e il centro-destra hanno sempre avuto ben chiari quali fossero gli ideali di riferimento di un mondo politico che aveva come obiettivo primario quello di distinguersi dall'egualitarismo e dalla visione "sinistra" della vita dei propri avversari.
Sono, o almeno dovrebbero tornare ad essere, valori fondamentali per il mondo della destra il diritto alla vita e il rispetto della stessa, in tutte le sue forme, la difesa della famiglia, la libertà dell'individuo, la sicurezza e la legalità, la difesa del territorio e delle tradizioni.
- Il Diritto alla vita e il rispetto della vita stessa.
Siamo consapevoli della varie e differenti posizioni rispetto ai temi delicati quali, ad esempio, aborto e fine vita ma nonostante questo non possiamo e non vogliamo abdicare al nostro dovere di ribadire la sacralità e l'importanza della vita dal momento del concepimento fino alla morte. E per sacralità si intende anche e soprattutto dignità. Dignità della donna incinta che finisce spesso per essere trattata da ammalata, inabile al lavoro, considerata un peso per una società che se non investe sulle nascite non investe sul proprio futuro. Dignità anche per le donne che pensano di ricorrere all'interruzione di gravidanza ma sono soggette a informazioni sbagliate o incomplete e finiscono per pentirsene tutta la vita. Dignità per i neonati che vengono considerati merce e pacchi postali, per i bambini non voluti costretti a passare anni in strutture di accoglienza inadeguate in attesa di una famiglia che li accolga e che magari resta impigliata in una burocrazia stringente. Dignità per i bambini voluti, e per i loro genitori, che si trovano ad affrontare quotidianamente le difficoltà sociali ed economiche senza l'aiuto dello Stato. Salute, istruzione, incentivi e aiuti alle famiglie numerose, rientrano tutte nelle misure di rispetto e difesa della vita che come destra intendiamo portare avanti. Dignità per gli ammalati e i disabili, troppo spesso costretti a scontrarsi con situazioni da terzo mondo con sempre meno fondi a loro dedicati e sempre maggiore disattenzione alle loro necessità. L'italia è un Paese che combatte ancora con le barriere architettoniche, con gli ospedali fatiscenti e la mala sanità, con un sistema che resta in piedi grazie alle associazioni che si barcamenano tra la ricerca di fondi e l'eccessiva burocrazia, che preferisce le leggi sugli aborti sempre più facili e sulle eutanasie sempre più indolori che delle riforme che si occupino della gestione dei più deboli. Rispetto e dignità per gli anziani. Il nostro, più di altri, è un paese che nel bel mezzo della crisi economica che ha colpito l'Europa in questi anni si è tenuto a galla grazie ai nonni, anziani lavoratori e risparmiatori instancabili che sono riusciti a rispondere al fabbisogno proprio e delle generazioni successive e che ora si trovano ad essere considerati un peso, vessati da continui tagli alle pensioni, scaricati in istituti spesso inadeguati e mal gestiti in nome di una società troppo individualista incapace di rendere il giusto merito ai propri cittadini. La dignità di questi anziani di poter concludere al propria vita con gli affetti più cari, in condizioni socio-sanitarie degne di essere chiamate teli, senza che nessuno si senta costretto a ricorrere a mezzi drastici per porre fine alla propria vita. Chi pensa che difendere la vita sia riconducibile solo all'ipotesi di abrogare o modificare la legge 194, si sbaglia, la difesa della vita, per chi decide di fare politica e di farla a destra, è e deve essere molto altro.
- Difesa della Famiglia.
Negli ultimi tempi si è fatto un gran parlare di famiglia e addirittura di famiglie. Abbiamo assistito a diversi tentativi di riscrivere la definizione di famiglia con forzature storico-culturali e persino costituzionali prive di alcun fondamento. In questo capitolo che parla di valori irrinunciabili abbiamo il dovere di ribadire l'unicità della Famiglia, con la F maiuscola, formata da un uomo e una donna e dai loro figli, naturali o adottivi che siano, che hanno il diritto almeno di sapere chi sono i propri genitori. Non è solo una questione legata alla tradizione o influenzata dai valori cristiani e cattolici, che comunque preesitono e permeano la nostra storia comune, è anche e soprattutto una questione sociale.
Così come è necessario pretendere e tutelare la dignità dei singoli è nostro preciso dovere di presente e futura classe dirigente, pensare alla prima agenzia sociale dalla quale scaturisce tutto il resto. Non si può pensare di incentivare le coppie a fare figli con la promessa dei bonus bebè una tantum, è necessario effettuare delle riforme strutturali che tutelino le famiglie, i loro diritti, all'istruzione ed educazione dei figli, a una casa dignitosa in cui vivere, a un'assistenza sociale ed economica in casi di situazioni disagiate. La famiglia è il nucleo primario che costituisce la società italiana; è fondamentale che la politica la tuteli prima ancora di affibbiare il termine e il ruolo di famiglia ad altre aggregazioni sociali che di fatto non possono oggettivamente svolgere lo stesso compito. La famiglia va protetta, difesa e rispettata. Non possiamo permettere che le famiglie italiane mandino i propri figli adolescenti a lavorare invece che a scuola per sopperire ad un vuoto sociale. Non possiamo accettare che altri aggregati siano essi omo o eterosessuali, che non svolgono una funzione di sviluppo e di crescita del tessuto sociale, siano equiparate o addirittura agevolate rispetto a quelle famiglie che ogni giorno compiono sacrifici enormi per restare unite e in piedi e onorare i propri doveri nei confronti dello stato. Il tema della difesa della famiglia non è un tema contro, come molti credono o vogliono far passare, non ci sono i buoni e i cattivi; è un tema prioritario. Questa Nazione ha fortemente bisogno che la famiglia torni al centro dello strato sociale ed economico e che, aiutata a gestire e superare tutte le difficoltà di questi tempi bui, ritorni ad essere la prima e più importante fonte educativa e culturale per le nuove generazioni.
- La libertà dell'individuo.
Come fare a definire cosa si intende per libertà personale? Libertà è una parola usata e abusata e spesso intesa come "possibilità di fare ciò che si vuole senza pensare alle conseguenze". Per noi non può essere questo. L'individuo è si libero, libero di scegliere, libero di sbagliare, libero di prendere delle decisioni su se stesso, libero di vendere e comprare, libero di pensare e di parlare, libero di cercare la propria felicità e soddisfazione personale, ma non è libero, in nome di questa "libertà" moderna, di fare tutto questo non preoccupandosi delle conseguenze, non assumendosi delle responsabilità, non svolgendo il proprio dovere per la comunità nella quale vive. Viviamo degli anni strani, per certi versi invochiamo le libertà più sfrenate che spesso rasentano il libertinaggio e per altri siamo impossibilitati ad esprimere dissenso o opinioni diverse da quelle politicamente corrette. Chiediamo a gran voce le libertà individuali ma non la libertà come stato di essere un popolo sovrano, di gestire i nostri soldi e i nostri risparmi, di scegliere i nostri rappresentanti. La libertà individuale non può ridursi al "fare quello che voglio quando voglio" quella è anarchia non è libertà. Saremo liberi, ma liberi davvero, solo quando questo Paese ci metterà nelle condizioni di poter usufruire tutti degli stessi mezzi, quando avremo la libertà di gestire i nostri soldi e i nostri risparmi senza essere vittime di sistemi bancari stringenti, quando dissentire sul pensiero comune non sarà considerato come una lettera scarlatta. Non possiamo rischiare che in nome di alcune libertà ne vengano limitate delle altre. Corriamo un grande rischio, ogni volta che in nome di una presunta discriminazione nei confronti delle minoranze si finisce per discriminare le maggioranze, è successo con la proposta di legge sull'omofobia e con quella sul negazionismo. E' necessario ribadire l'importanza della libertà dell'individuo nella sua interezza e non spacchettare le libertà individuali in base alle pressioni di questa o di quella lobby di potere.
- Sicurezza e legalità
Se la sicurezza è, nella visione comune, un tema tipicamente riconducibile al centro destra, lo stesso non si può dire della legalità. E' necessario quindi fare delle distinzioni. Innanzitutto per sicurezza non si intende solo sicurezza "militare", certo in un momento storico come questo in cui il terrorismo islamico e il tema dell'immigrazione è molto più pregnante e determinante, la difesa del nostro territorio e l'importanza delle forze di polizia deve sicuramente essere al centro del quadro politico del centro destra. Ma per sicurezza si deve intendere anche la sicurezza personale, il contrasto della microcriminalità, l'ipotesi di una legge che regoli la legittima difesa, la garanzia per chi abita nelle grandi città come nei piccoli centri di potersi sentire al sicuro girando per strada di giorno come di sera. Sicurezza è limitare gli stupri, che ormai avvengono i pieno centro e in pieno giorno; sicurezza è consentire ai commercianti di abbassare la serranda alla chiusura senza doversi guardare le spalle; sicurezza è identificare gli immigrati clandestini che arrivano nel nostro paese e monitorarne gli spostamenti; sicurezza è anche la manutenzione delle scuole e delle strade per non rischiare che dei piccoli incidenti possano tramutarsi in tragedia. Sicurezza è legalità. Non antimafia, quella la lasciamo alla sinistra che delle associazioni antimafia, anticamorra, antiracket, anti tutto, ne ha fatto un marchio di fabbrica trasformandole spesso in vere e proprio associazioni "mafiose". La legalità è molto di più e anche molto di meno dell'antimafia. È molto di più dell'antimafia di facciata di saviana memoria ed è molto di meno dell'antimafia di sostanza di Falcone e Borsellino. La nostra legalità che va considerata valore irrinunciabile, è la legalità quotidiana: la lotta agli sprechi, alle clientele, alla corruzione anche nelle piccole cose, al vigile amico che ti toglie la multa, all'utente che non paga il biglietto sull'autobus perché non lo fa nessuno, al commerciante che non fa lo scontrino, a chi salta la fila alle poste perché amico del direttore. La legalità è spesso un'utopia in questo Paese ma è a quell'utopia che vogliamo puntare. La legalità necessita di eroi quotidiani, che facciano del loro meglio per essere esempio. La nostra legalità e la nostra sicurezza non è e non deve essere fatta da grandi marce, da libri e film, deve essere fatta da tanti piccoli no a ciò che è contro la legge e, perché no anche solo l'etica e la morale, e altrettanti piccoli si a tutto ciò che invece è volto al bene comune anche se faticoso intraprendere. Lasciamo l'antimafia ai professionisti di Sciascia, noi puntiamo ad essere un faro per le prossime generazioni, una strada per la legalità e la sicurezza che punti prima di tutto al bene di questa Nazione.
- Difesa del territorio e delle tradizioni
Altro tema considerato appannaggio della sinistra è il tema dell'ambiente, del territorio e delle tradizioni, anche locali. Un errore madornale che ci ha relegato spesso ad essere considerati nemici della natura e eccessivamente progressisti. La difesa del territorio è uno di quei temi su cui invece dobbiamo tornare prepotentemente. Gli ultimi scandali avvenuti in Basilicata con il petrolio, in Puglia con l'ILVA, in Campania con la terra dei fuochi, hanno dimostrato come non sia una questione di colore politico ma solo di una mala gestione e di illegalità diffusa. Non siamo, è vero, dei fautori dell'ambientalismo estremo, siamo e restiamo convinti che il progresso anche energetico e d'impresa vada incentivato per il bene soprattutto economico del Paese, ma non siamo certo favorevoli all'industrializzazione selvaggia come spesso veniamo descritti. E' necessario raggiungere un punto di equilibrio tra le due posizioni ed è su quel punto che noi vogliamo situarci. Abbiamo la fortuna di vivere in una Nazione che possiede tutto ciò che la natura può offrire, dei litorali splendidi, catene montuose che il mondo ci invidia, laghi e fiumi tra i più belli d'Europa. Non possiamo non fare leva sul nostro territorio per fare crescere anche economicamente l'Italia. Questo Paese potrebbe vivere di rendita solo con il turismo se solo riuscissimo a comprendere come poterne usufruire senza sfruttarlo fino all'osso. Le tradizioni popolari, unite alle bellezze naturali che l'Italia possiede sono un viatico perfetto per far crescere e incentivare il turismo soprattutto internazionale. Occorre però un piano di turismo sostenibile, occorre incrementare le infrastrutture, occorre incentivare i centri culturali regionali, sono necessarie misure economiche e strutturali di investimento su opere d'arte, monumenti e immobili di grandissimo prestigio ma che sono abbandonate all'incuria del tempo. Salvaguardare il nostro territorio significa anche immaginare un nuovo modo di smaltimento di rifiuti e aumentare la cultura del riciclo senza per questo tentare di distruggere aziende e industrie che sono un punto fondamentale per la nostra economia.
Siamo certi che chi leggerà questo capitolo su quelli che sono i nostri "valori irrinunciabili" resterà sorpreso da alcune affermazioni. Ma è per questo che è stato inserito, per cercare di sfatare il mito della pochezza di contenuti che spesso viene affibbiato alle persone di destra, per dimostrare che non siamo cattivi, solo ci disegnano così.
VARARE UNA NUOVA EUROPA. CE LO CHIEDE L'ITALIA
La legge Fornero, il jobs act, la legge Del Rio sono provvedimenti approvati dai Governi al grido di: "Ce lo chiede l'Europa", dal canto nostro riteniamo prioritario che il Governo lavori anteponendo gli interessi nazionali controbattendo: "Ce lo chiede l'Italia".
La questione europea rischia di essere uno dei temi centrali della nostra riflessione. L'Italia, al pari di altri Stati membri, ha ceduto una quota importante di sovranità all'Unione Europea pertanto molte decisioni sul futuro del nostro popolo sono state delegate ad un club di burocrati non eletti da nessuno. Ciò si scontra con l'art. 1 della Costituzione che al comma 2 recita: "La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione" condizione che viene sentita come una sospensione della democrazia.
Il potere, prima accentrato nella politica romana e spesso nelle sedi delle regioni, è stato trasferito nelle sedi dei palazzi di Bruxelles e l'Italia, sarebbe meglio dire i cittadini italiani, oltre ad aver perso il legame con la rappresentanza politica ha preso atto del trasferimento dei poteri da un livello locale ad un livello extra territoriale.
Un grande tema politico che unisce e divide a livello nazionale e che sta diventando un collante trasversale tra partiti di diversi stati è l'anti europeismo o per meglio dire l'essere contrari alla moneta unica. Sintetizzare in uno slogan o pensare di parteggiare pro o contro l'Unione Europea è il chiaro segno dell'intenzione di affrontare la sfida più importante del secolo con strumentale superficialità.
E' ovvio però che un momento di peggioramento delle condizioni economiche, iniziato nel 2008, mette in crisi la credibilità di un sistema che ha svuotato, decentrato, ceduto il potere nazionale ad un sistema istituzionale europeo che non ha prodotto grandi risultati.
L'Europa è un sogno che esiste da oltre mille anni e che negli ultimi sessanta ha preso forma in modo pacifico e costruttivo seppur nella complessità e nelle profonde differenze che esistono ed emergono ogni giorno in ogni settore.
Non si può non considerare che il destino dell'Italia è, e lo sarà sempre più, legato al destino dell'Europa intera: ecco perché occorre impegnarsi di più nello sviluppo e nella crescita di quest'ultima intesa non soltanto come unione economica ma come consesso culturale e civile di popoli che condividono radici antichissime e storia millenaria.
Questo però non può e non deve essere un limite alla crescita e al rilancio dei singoli Paesi. Al fine di un rilancio dei nobili principi che per molto tempo hanno alimentato il sogno europeo si ritiene opportuno:
- Maggiore e ritrovata sovranità popolare. L'essere parte integrante dell'Unione Europea non può e non deve significare svendere la nostra identità nazionale, si può essere parte di qualcosa distinguendosi dagli altri.
- Intendere l'Europa come un'opportunità e non come un agglomerato statico di nazioni. Incrementare gli scambi non solo commerciali, ma anche e soprattutto culturali, creare una rete internazionale di sovrintendenza dei beni storici, artistici e territoriali che contraddistinguono i singoli Paesi.
- Aumentare la rappresentanza diretta nelle Istituzioni Europee, solo con un numero maggiore di rappresentanti scelti dai cittadini nella Commissione e non solo nel Parlamento Europeo potremmo pensare di sfruttare al meglio l'Unione Europea come trampolino per rilanciare l'economia di tutti gli Stati, facendo attenzione alle istanze dei singoli.
- Aumentare la coesione dell'Unione Europea per fare in modo che essa si muova come un soggetto unico non solo a livello economico, ma anche geopolitico su situazioni di emergenza come quella dell'immigrazione che riguardano principalmente le frontiere del sud.
- Rispettare le radici cristiane dell'Europa, che pur non essendo inserite nella carta costituzionale, sono certamente un punto fermo della nostra cultura.
Il primo ma fondamentale punto di debolezza dell'attuale assetto europeo è senza ombra di dubbio il deficit democratico delle istituzioni europee così come organizzate. Manca una Costituzione vera e propria, contenente principi, valori, basi culturali, tutele sociali e politiche, solo parzialmente ovviata con la stipula dei vari Trattati come Lisbona. Si evince chiaramente come il timore che i popoli europei e i loro Stati potessero esprimersi negativamente su questo assetto abbia guidato l'operato dell'istituzione Europea, compiendo molteplici forzature.
Non possiamo dimenticare che in alcuni Stati tra cui il nostro non è stato possibile esprimersi sul tema, ma si sia accettato immediatamente e indirettamente, e come invece in altri Stati, sottoposti a referendum, sia per l'ingresso che per la costituzione, si sia andati incontro a risultati negativi.
D'altro canto il Parlamento Europeo, unico organo democraticamente eletto, non ha potere esecutivo, operativo e decisionale e questo senza dilungarci troppo riassume quanto sia ininfluente il volere dei cittadini europei per chi ne tira le fila.
E' paradossalmente inconcepibile che un organismo come l'Unione Europea chieda e pretenda democrazia nel mondo e ponga come requisito fondamentale per essere interlocutore un regime di governo democratico e poi abbia al proprio interno un deficit così evidente di democrazia e rappresentatività. L'unica soluzione non può che essere una modifica della impalcatura dell' Unione Europea col potenziamento dei poteri del Parlamento.
La Commissione, vero organo politico e decisionale dell'Unione è formato da membri non eletti. Il ruolo della Commissione potrebbe essere trasformato in una sorta di Consiglio dei Ministri che garantisca efficienza e operatività alle decisioni ed agli indirizzi del parlamento.
Come se ciò non bastasse lo stesso deficit democratico si ripete identico anche sul piano economico e monetario, con la Banca Centrale Europea in mano a personaggi che non sono eletti dai cittadini europei e neanche in maniera indiretta dal Parlamento.
Neanche il suo operato è regolato, controllato o gestito in nessuna maniera dalla politica, ma si tratta di un classico caso di potere economico che si pone impunito ed ingovernabile al di sopra della politica. Cosa inaccettabile se poi per la stessa BCE passano le decisioni sulle politiche, aiuti e indirizzi economici decisivi per tutti i Paesi membri. La BCE dovrebbe essere riformata e divenire, dopo essere stata sottoposta a nomina, indirizzo, governo e controllo politico, la banca comune dell'Unione Europea, con la capacità di emettere la moneta. Ciò eviterebbe dubbi, complotti, perplessità e darebbe più trasparenza e fiducia agli Stati e ai popoli.
I fattori che incidono maggiormente sul buon andamento amministrativo dell'Italia sono indiscutibilmente le misure restrittive imposte come il fiscal compact, che in nome delle politiche di rigore promosse dalla Germania, ci obbliga a manovre "lacrime e sangue" di circa 50 miliardi all'anno per almeno 20 anni, mettendo in ginocchio la nostra economia e impoverendo ulteriormente le famiglie. Fiscal Compact che peraltro secondo un'opinione sempre più diffusa che trae spunto dagli scritti del giurista Giuseppe Guarino, non sarebbe un trattato valido perché in contrasto con i Trattati su cui si fonda l'Unione europea e con il diritto dell'Unione europea.
In particolare l'obbligo di pareggio di bilancio da parte della Pubblica Amministrazione di uno Stato contraente, è da considerarsi non conforme e pertanto non legittimo, in quanto il Trattato della UE firmato a Maastricht (TUE) all'art. 104 c) prot. 5, e il Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea di Lisbona (TFUE) all'art. 126 (ex 104), fissano invece al 3% il limite deficit-Pil dell'indebitamento annuale consentito. Con il Fiscal Compact, è stato pertanto palesemente violato il Trattato istitutivo della UE unitamente al TFUE che ne ribadisce, al citato art. 126, i limiti dell'indebitamento.
Un'altra motivazione per puntare allo scioglimento concordato dell'Eurozona è quella di liberare l'Italia dall'obbligo di contribuire al Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), meglio conosciuto come Fondo Salva-Stati. L'Italia ha sottoscritto quote per il 18% del capitale del MES (che a regime avrà un capitale di 700 miliardi di Euro) impegnandosi per oltre 55 miliardi di Euro, aumentando significativamente il proprio debito pubblico.
Eppure l'Italia non potrebbe utilizzare questo strumento, perché un fondo di tali dimensioni sarebbe a malapena sufficiente per salvare Paesi come la Grecia e forse il Portogallo, ma non il nostro Paese, il cui debito supera abbondantemente i 2000 miliardi di Euro.
L'attuazione delle regole del MES (che è di fatto una organizzazione internazionale con sede a Lussemburgo) pone anche questioni di costituzionalità in quanto il MES può avanzare al nostro Paese illimitate richieste di ricapitalizzazione, in aggiunta ai 125 miliardi di euro iniziali, senza il preventivo parere del Parlamento, ovvero senza il consenso democratico. Questo mentre in Germania è previsto il voto del Parlamento per autorizzare ulteriori ricapitalizzazioni.
Anche per far fronte a una richiesta sempre più costante degli Enti Locali che chiedono di poter spendere i tesoretti accumulati in tanti anni di bilanci virtuosi l'Italia dovrebbe chiedere una drastica riduzione degli effetti sull'Italia del patto europeo di stabilità e crescita, ennesimo regolamento diabolico che, con l'obiettivo di limitare l'indebitamento degli Stati, impone ai Paesi membri un tetto alle spese per investimenti, a prescindere dalla virtuosità e dalla necessità delle opere da realizzare.
Il risultato è che oggi gli Enti locali, per effetto del "Patto di stabilità interno" (ovvero la ripartizione dei vincoli del Patto europeo tra lo Stato e gli Enti locali), hanno nelle loro casse 17,5 miliardi che non possono utilizzare. Questo divieto, pena pesanti sanzioni, sussiste anche per investimenti necessari, come quelli per combattere il dissesto idrogeologico, per prevenire i disastri causati dagli eventi sismici, per restaurare i beni culturali e per garantire la sicurezza degli edifici pubblici come le scuole. Per questo motivo è necessario che l'Italia ottenga dalla Commissione europea l'esclusione dal patto di stabilità di tutti gli investimenti necessari a rilanciare la crescita e a garantire la sicurezza dei cittadini.
Un'alternativa all'assetto europeo attuale è un'unione federale degli Stati dell'Europa, sul modello statunitense, che potrebbe se disciplinato in maniera puntuale dare un equilibrio fra tra le istanze degli Stati nazionali ed il centralismo della struttura sovranazionale.
Sarebbe una possibile via per avere finalmente una tanto agognata politica estera comune ed un esercito comune, ed analogamente una polizia federale che coordini molteplici polizie nazionali. Ed ancora standard energetici, sanitari, lavorativi, sociali comuni in tutta Europa per lasciare agli Stati nazionali la prerogativa di legiferare su alcune tematiche locali.
Così come è importante dirimere la questione della sovranità nazionale dei singoli stati, in un ipotetico assetto federale dovrà assolutamente essere centrale il tema del recupero della sovranità europea, se si considera che sul territorio europeo campeggiano in enorme quantità basi militari americane.
Solo in questo modo potremo finalmente vedere realizzato il sogno di un'Europa libera, forte, autonoma, protagonista nello scacchiere mondiale, senza farci dettare agende e diktat da altri. Soltanto quando avremo raggiunto questa condizione di unità ed indipendenza potremo avviare e governare un serio confronto, dialogo e se serve scontro col mondo arabo e islamico, a noi così vicino eppure così conflittuale.
Infine, ma non perché meno importante anzi, esiste la necessità di avere un'unione europea dei valori e della cultura prima che politica, a maggior ragione se federale.
Le Istituzioni europee non possono non riconoscere le radici cristiane quali base su cui costruire la propria identità valoriale. Il patrono d'Europa è San Benedetto da Norcia che è a ragione considerato il padre dell'Unione Europea per aver immaginato e realizzato il primo embrione di unità dei popoli europei a cavallo dell'anno mille con la fondazione di centinaia di monasteri sparsi in tutto il continente che hanno contribuito alla salvaguardia nei secoli della cultura europea esposta ai pericoli della disgregazione seguita alla caduta dell'impero romano d'occidente.
La base culturale e valoriale comune è fondamentale, ma necessita di un doveroso distinguo tra ciò che è cultura e ciò che è valore. Se i cittadini europei ed i loro leader riusciranno a comprendere tutto ciò ed a declinarlo in istituzioni europee libere e forti, riusciremo a scoprire e definire una identità europea, capiremo perché dobbiamo cambiare il nostro modo di pensarci cittadini europei oltre che italiani, avremo chiare le linee guida ad indicarci la via e per percorrerla insieme. Altrimenti basta banalmente tornare ad una CEE, ad una mera comunità economica ammettendo chiaramente il fallimento del sogno europeo.
Rifiutare qualsiasi tipo di schiavitù, difendere la vita umana, essere contro la pena di morte, credere nella solidarietà, nella giustizia sociale, nella dignità dell'uomo e del lavoro, nella famiglia, non cedere alle lusinghe del grande capitale, ai suoi metodi da giungla sociale, non illudersi con la socializzazione forzata e dell'uomo massa senza volto, credere con fiducia all'uomo come centro della politica, questi sono valori che possono e devono accomunare centinaia di milioni di cittadini europei.
I valori risiedono nell'assolutezza dei principi e sono per lo più immutabili nei secoli, le culture sono le loro declinazioni che possono variare in base alle latitudini ed alle longitudini.
Sono queste le premesse che possono portarci alla soluzione dei problemi sui grandi temi dell'economia, del lavoro, dello scontro culturale e sociale. Non possiamo più tollerare che i Paesi si combattano sulla produzione industriale solo in base alla differenza del costo del lavoro e dei diritti dei lavoratori, con una conseguente delocalizzazione della produzione e quindi del lavoro, solo per rispondere al guadagno senza preoccuparsi minimamente dell'impatto sociale sia sul paese di provenienza che di arrivo.
Solo pochi giorni fa abbiamo celebrato l'anniversario della caduta del muro di Berlino eppure oggi, nel terzo millennio, in Europa abbiamo ancora dei muri a Cipro come a Belfast.
Come possiamo pensare di continuare a creare concorrenza selvaggia distruggendo derrate alimentari, arance, latte, permettendo accordi con economie e politiche agricole di paesi terzi come il Marocco o la Tunisia?
Come possono continuare le battaglie interne sull'origine dei prodotti, sulle etichette e fare battaglie fratricide come capita ad esempio sul parmigiano o sulla mozzarella?
A questi che sono soltanto 3 delle innumerevoli folli contraddizioni di questa Europa non si può che rispondere divenendo un soggetto politico economico e sociale credibile.
Al contrario non possiamo permettere che l'Europa si riduca ad essere, come sempre di più si appresta a divenire, con la sua popolazione e i suoi territori, il mercato di conquista di vecchie e nuove potenze mondali quali Usa, Cina, India ed Emirati Arabi con le quali non possiamo pensare di competere abbassando i nostri standard in tema di diritti dei lavoratori, difesa dell'ambiente o previdenza sociale. Perderemmo comunque la partita. Possiamo vincerla soltanto valorialmente combattendo con dazi e gabelle sui prodotti provenienti da Paesi che semplicemente non rispettano la vita umana, anzi la sacrificano in nome di una produzione sfrenata che spesso, non dimentichiamolo, viene richiesta da aziende e mercati occidentali.
Si tratta in ultima analisi di varare un protezionismo europeo, costruttivo ed intelligente, che non deve peraltro tralasciare, quasi per una sorta di lesa maestà, di regolare i rapporti con nazioni comunemente considerate amiche come ad esempio l'Inghilterra, che meriterebbe un capitolo a parte per la sua permanenza con fasi e modi alterni, o gli USA per quel che riguarda la produzione di grano o le tematiche energetiche.
Non esiste un'Europa senza Parigi, Madrid, Roma e Berlino, e può esistere anche insieme a Mosca. Sicuramente non esisterà mai se si ostina a seguire passivamente i diktat e gli indirizzi di Washington e altri Paesi che non giocano la partita onestamente.
CONCLUSIONI
Se i motivi per combattere dunque non mancano, è necessario recuperare entusiasmo ed energie, lucidità e strategia, per sferrare metaforicamente quella sfida alle stelle di marinettiana memoria che oggi si concretizza sempre di più in una guerra globale tra chi ci vorrebbe relegare ad essere carne da macello in una delle tante colonie del nuovo impero mondializzato e chi invece, come noi, sogna di essere il degno erede di una storia millenaria.
Orsù dunque, serriamo i ranghi e ricompattiamo le truppe affinchè dalla Trieste che scelse di tornare ad essere Italiana parta una stagione nuova, fatta di idee e di contenuti, costruita da combattenti e da patrioti, che conduca Fratelli d'Italia ad essere germoglio e guida di un movimento culturale che possa riportare la Destra di nuovo al governo e l'Italia a riconquistare un posto di rilievo nello scacchiere internazionale. Andando oltre Alleanza Nazionale per arrivare dove Alleanza Nazionale ha fallito.